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P e C, due coniugi non più giovanissimi, hanno un figlio, V, di tre anni, nato dopo sei di matrimonio.
Al momento in cui sono entrati nel mio studio è trascorso all’incirca
un mese dal giorno in cui C, sconvolta, ha denunciato P per
maltrattamenti nei confronti del figlio, a motivo dei quali il Giudice
Minorile ha stabilito il momentaneo allontanamento del padre da casa.
Il clima del primo incontro è di grande tensione; la coppia mostra un
profondo senso di fallimento e disorientamento per ciò che è accaduto. C
e P oscillano tra momenti in cui prevale un forte senso di vicinanza e
momenti in cui, tra loro, sembra crearsi un forte baratro. C appare
come una persona dipendente, ma con risorse emotive inespresse; P come
una persona primitiva, con risorse limitate rispetto al controllo dei
propri impulsi e tendenza all’acting-out, come nell’episodio della
violenza su V. Dall’anamnesi di C emerge una sintomatologia anoressica, non trattata, tra i quattordici e i sedici anni. Da quella di P la presenza di diversi episodi con caratteristiche di acting-out, nell’adolescenza.
P e C si conoscono sul posto di lavoro ed è “amore a prima vista”; una
gravidanza inattesa, dopo due mesi di fidanzamento, promuove la
decisione, mai espressa sino a qual momento, di sposarsi. E’ a
questo punto che compare per la prima volta un comportamento violento di
P nei confronti di C: nel corso di un’accesa discussione sul numero
degli invitati al matrimonio P le dà uno schiaffo. C: Quello schiaffo non me l’aspettavo e mi sembrò assurdo, ma l’avevo dimenticato, solo oggi mi è tronato in mente.
Dopo tre mesi di matrimonio, trascorsi in un clima di grande tensione, C
ha un aborto spontaneo in seguito al quale nella coppia viene meno ogni
progetto o aspettativa genitoriale; il tema “figlio” scompare dal mondo
emotivo di P e C. P: La nostra vita tornò ad essere tranquilla, come se nulla fosse accaduto. R: Lei cosa provò? P: Un senso di liberazione. Non mi sentivo pronto per un figlio R: E lei, C? C: Non lo so. Ricordo pochissimo di quel periodo La seconda gravidanza segue la prima di sei anni ed è, come l’altra, inattesa.
C: Per me fu una grande gioia, P però non mi sembrò per niente
entusiasta. Lo sentivo lontano, come la volta precedente, ma non dissi
nulla. Dai racconti dei coniugi emerge un susseguirsi di eventi luttuosi tra le due gravidanze.
Dopo un anno di matrimonio muoiono inaspettatamente sia il padre di lui
che quello di lei; la nonna di C muore dopo una lunga malattia, che
aveva impegnato la nipote in una faticosa e sofferta assistenza. La
coppia sembra aver affrontato in modo solidale questi lutti; la
solidarietà e la complicità sembrano però svanire con la nascita di V.
P: Ho sentito che nella nostra unione qualcosa si spezzava
irrimediabilmente. V l’ha interrotta per sempre… io comunque gli voglio
molto bene e non capisco perché oggi, in situazioni del tutto
tranquille, mi scatta una rabbia improvvisa. C: Quando è nato V ero
felice, lo desideravo da tanto tempo anche se non lo dicevo neanche a me
stessa. Quando era piccolo e fragile provavo delle emozioni che non
sentivo da anni. R: Le tenne tutte per sé queste emozioni? C: Avevo un forte senso di… pudore, ero… come rinata, ma sentivo anche un senso di colpa. R: Continui…
C: Avevo la sensazione di tradire P, lui non provava gli stessi
sentimenti e questo non era mai accaduto, fino a quel momento provavamo
le stesse emozioni P: Quella pancia ci ha allontanati… mi sentivo colpevole… oggi mi ritrovo a picchiarlo senza ragione R: Una ragione apparente, intende dire. P: Non lo so, so solo che non c’è giustificazione che tenga per il mio comportamento. R: C’è sempre un’emozione alla base di un comportamento, dobbiamo solo capire qual è.
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- C: Sì, ma io sono stufa, sono pentita della denuncia ma la colpa è solo
sua. Quella sera l’istinto di conservazione per me e per V mi ha fatto
andare dai carabinieri.
P: Ha ragione, è colpa mia, ha fatto bene, me lo sono meritato
P ha ricevuto un’educazione molto rigida; la sua vivacità infantile e
la sua irrequietezza adolescenziale sono state soffocate con punizioni
anche corporali. Nel racconto di P ci sono notazioni di comprensione e
gratitudine nei confronti del padre che lo avrebbe “salvato dalla
cattiva strada” ma non c’è traccia apparente di emozioni, anche quando
parla della madre, fortemente impegnata da un marito geloso, possessivo e
con pochi ritagli di tempo da dedicare al figlio. R: Cosa faceva sua madre quando suo padre la picchiava? P: Assisteva in silenzio R: Lei cosa provava nel vedere sua madre così immobile mentre suo padre la picchiava? P: Pensavo che… facesse bene, sentivo che non c’era altra soluzione, non volevo che lei ci andasse di mezzo R: Le ho chiesto cosa provasse, non cosa pensasse. P: Non lo so… nulla.
La storia di C è quella di una bambina sola, che deve bastarsi perché
le attenzioni della madre sono tutte rivolte al marito, costretto su una
sedia a rotelle dall’età di otto anni. Quando la madre di C lo incontra
se ne innamora perdutamente, sfidando anche l’iniziale decisa
opposizione dei suoi genitori. Alla nascita di C la madre chiede alla
propria madre di venire a vivere con lei e le affida la figlia; la
nonna, dice C, la alleva con “grande senso di responsabilità”. R: Mi parli di sua nonna C: Era… come… una governante, con uno spiccato senso del dovere… non sentivo… amore da parte sua R: Sua madre cosa pensava del vostro rapporto? C: Diceva che ero fortunata ad avere due genitori che si amavano e una nonna tutta per me. R: E suo padre cosa pensava? C: Questo proprio non lo so, tutto quello che lui pensava veniva filtrato da mia madre, sembrava un ostaggio nelle sue mani. R: Perché un ostaggio?
C: Non potevo avvicinarlo, sembrava gelosa… non so come dire… sembra
assurdo ma sembrava gelosa di un uomo in carrozzella, diceva sempre
“lascialo stare, lo disturbi!”. R: Sua nonna cosa pensava di questo rapporto?
C: Con gli occhi di oggi, mi sembra lo proteggesse. Quando lui riposava
e non c’era mia madre mi costringeva a giocare in camera mia, così non
lo svegliavo. Quando arrivava mia madre mi diceva che dovevo lasciarli
in pace perché non si vedevano per tutto il giorno e la sera avevano
bisogno di stare soli. Mia nonna non cucinava niente che non fosse più
che gradito a mio padre. R: Quindi suo padre aveva due donne che si occupavano di lui? C: Sì, proprio così. R: E lei come si sentiva? C: Sola, molto sola. Una volta ho osato dirlo a mia madre, mi punì dicendomi che ero un’ingrata. R: Sua nonna la sentiva dalla parte di sua madre e suo padre?
C: Mia nonna aveva avuto un figlio handicappato, che in tempo di guerra
aveva messo momentaneamente in istituto. Dopo pochi mesi bombardarono
l’istituto e mio zio morì. Da quel giorno, mia nonna non l’ha più nominato. R: Mi ha raccontato questo perché pensa che abbia a che fare con la dedizione di sua nonna per suo padre?
C: Sì, l’ho pensato spesso da grande. Mio padre e mia nonna sono morti a
pochissima distanza di tempo, prima mio padre e poco dopo mia nonna. E
mia madre ricordo disse: “Questa volta nonna il secondo figlio maschio
non l’ha lasciato andare via solo, l’ha voluto seguire”. Mi colpirono
molto queste parole di mia madre… quel giorno ho capito perché mia nonna
aveva un rispetto sacrale per mio padre. Ho capito anche perché mi
sentivo così sola, a volte era… come se io non ci fossi, tutto girava
intorno a lui. Quella frase di mia madre mi ha fatto capire di colpo il
perché della mia solitudine. R: Lei provava a fare qualcosa per avvicinarsi a suo padre?
C: I compiti. Solo in quel caso ero autorizzata ad entrare nella sua
stanza ed ero felice e… grata a mia nonna che non me lo impediva. E’
strano ma ho potuto avere mio padre per me solo negli ultimi momenti di
vita: mamma e nonna in quel momento, non so perché, sparirono ed io mi
sono trovata sola con mio padre. Ero serena ed oggi ne sono molto
contenta.
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- Il
lavoro individuale con C attraversa momenti di grande coinvolgimento
emotivo e questo clima fa emergere forti emozioni anche in P.
P: Anche mia madre amava molto mio padre. R: Tanto da non intervenire quando lei veniva picchiato? P: Sì, è così R: Si sentiva tradito? P: Non lo so, non poteva proteggermi. R: Dopo la consolava? P: Sì, ma di nascosto. R: Come si sentiva P: … (pensa)… non lo so. R: Forse un po’ tradito? P: … (pensa)… non lo so. R: Forse si sentiva solo?
P: … (pensa)… sì, questo… sì, è proprio vero, ma era proprio questo che
mi faceva impazzire, mi sentivo in colpa perché mi sentivo solo,
pensavo che non potevo chiedere nulla a mia madre, anche lei aveva
paura, dovevo farcela da solo. R: Ora, ricordando, cosa prova? P: Mi sento molto… inquieto. R: E questo la preoccupa? P: Un po’, e… mi disorienta… sono… confuso… uscirei volentieri da questa stanza.
R: Quando prova un’emozione lei mette subito in atto un comportamento
che la distoglie e le impedisce di sentire. Uscire dalla stanza è un po’
come picchiare V. Deve riuscire a fermarsi per rintracciare le
emozioni; come per esempio quella provata quando sua madre la lasciava
nelle mani di suo padre… Mi viene in mente che sua madre faceva
l’opposto di quello che fa oggi C… che protegge e difende il suo piccolo
quando lei lo vuole picchiare. P: Questa cosa mi fa impazzire. Non sopporto il suo… essere chioccia. R: Lei una chioccia non l’ha mai avuta e forse questo le provoca rabbia. P: … (piange)…
R: Credo che lei abbia desiderato molto che sua madre, sfidando le
botte di suo padre, la proteggesse, come C fa oggi con V, che,
diversamente da lei, è così fortunato ad avere una madre protettiva,
calda e accogliente. E’ a questo punto che si apre uno squarcio
su un mondo emotivo inesplorato e inespresso: il desiderio, la rabbia,
il rancore, l’invidia di P, diventano emozioni da vivere e non da
evitare. Queste emozioni coinvolgono C e aprono nuove aree di dialogo
per la coppia. Nelle storie personali di P e C sono presenti vissuti di intensa sofferenza affettiva.
Il padre di C occupava, con la sua menomazione, tutto lo spazio emotivo
della madre e riempiva il vuoto che la morte del figlio aveva prodotto
in sua nonna. P deve fare i conti con la propria solitudine e
disperazione per essere stato abbandonato dalla madre nelle mani di un
padre violento. C, sin da piccola, ha visto l’amore della madre
riversarsi tutto sul padre invalido; P ha vissuto e silenziosamente
sopportato l’incapacità della madre ad avvicinarlo con amore nei momenti
in cui avrebbe voluto essere protetto e difeso da un padre violento.
Con il matrimonio si erano “promessi” di vivere l’uno per l’altra.
L’arrivo di V li coglie impreparati, disorientati, confusi e riaccende
antiche emozioni non elaborate. Per C la maternità ha rappresentato
un modo per “curare” antiche ferite e per provare una tenerezza tanto
grande quanto sconosciuta. Per P la paternità ha rappresentato il
ritorno dei fantasmi della solitudine e del “tradimento”; oggi però,
diversamente da allora, tenta di riconquistare lo spazio emotivo che V
gli sottrae. Entra, con prepotenza, nel rapporto madre-figlio ma si
sente ricacciato; allora entra con violenza e si sente colpevolizzato e
punito. Il lavoro con lo psicologo crea una trama narrativa sia
individuale che di coppia, che come un “ponte” connette comportamenti,
sentimenti e bisogni di allora con quelli di oggi.
Dottor Riccardo Cicchetti
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