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“Dottore, se avessi saputo che era così giovane, non sarei nemmeno venuta!” esordisce la signora all’ingresso del mio studio.
Eppure mi aveva contattato tramite il mio sito web, dove ci sono tutte
le informazioni sulla mia persona con tanto di foto e curriculum vitae.
Per non parlare del fatto che, per fissare l’appuntamento, ci eravamo
sentiti per telefono. Rispondo con una battuta
e la faccio accomodare. Ma la musica non cambia: continua la sua
campagna denigratoria nei miei confronti facendomi domande sulla mia
preparazione e il mio lavoro e ridendo in faccia ad ogni mio tentativo
di risposta. Le faccio notare che non ci troviamo in un contesto
giudicante e che lo scopo dell’incontro è quello di esplorare i motivi
che l’hanno spinta a venire da me. “Io non ho nessun problema, non
sono mica matta, che crede! Sono venuta solo per curiosità, anche se
dubito che lei possa aiutarmi… Quanto può saperne un ragazzo come lei
dei veri problemi della vita?” “Allora potrebbe provare a parlarmene per vedere insieme cosa riusciamo a fare” le propongo. Ma lei continua a dire di non avere problemi , aggiungendo che forse non era stata una buona idea quella di venire da me.
Non voglio confermare questa sua rappresentazione, ma non intendo
nemmeno continuare un braccio di ferro per un’ora; tanto più ho la
sensazione che si possa alzare dalla sedia da un momento all’altro per
raggiungere l’uscita. Così decido di sfruttare l’unico
spiraglio di confronto concessomi e, seppur consapevole degli scarsi
elementi a supporto della mia ipotesi, le porgo una domanda diretta: “Ha mai subito violenza da parte di qualcuno?”
La signora cambia di colpo espressione. Resta in silenzio fissandomi
con lo sguardo incredulo. Poi inizia a piangere e non si ferma più.
La sua storia era caratterizzata da episodi violenti familiari agiti da
figure maschili e da un matrimonio, ancora in corso, connotato da
costanti umiliazioni subite da parte del marito, anche in presenza di
figli, parenti e amici. Nell’attaccare costantemente la mia figura,
giudicandola “troppo giovane” e “non adatta”, la donna non faceva altro
che comunicarmi indirettamente il suo disagio. Attraverso tale modalità
relazionale veniva messo in atto il tentativo di svincolarsi dal ruolo
di “incapace”, a cui era stata relegata con forza negli anni,
proiettandolo su di me. La non collusione con questa fantasia
relazionale prevalente e l’offerta di uno spazio di ascolto e di
confronto non giudicante, hanno permesso l’avvio di un processo
condiviso di riconoscimento e superamento della dinamica di potere, che
investiva le relazioni con le persone più significative del passato e
del presente. Il conseguente e crescente ampliamento di
orizzonti, ha permesso l’individuazione e la sperimentazione di nuovi
schemi relazionali a partire dalla riformulazione dei copioni familiari.
Col passare del tempo la donna ha scoperto risorse che non credeva
nemmeno di avere, perché troppo a lungo inibite e atrofizzate entro
schemi rigidi e giudicanti, che stroncavano sul nascere ogni tentativo
di espressione di sé. Non è importante in questa sede elencare
le ricadute operative che i progressi ottenuti hanno avuto sulla qualità
della sua vita. Basterà sottolineare l’importanza del recupero di una
delle funzioni più importanti per l’essere umano: la possibilità di
scegliere. Così come è opportuno considerare che anche la più
provocatoria delle richieste può veicolare una domanda di aiuto, che
tuttavia non è sempre facile riconoscere ed accettare consapevolmente.
Dottor Riccardo Cicchetti
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