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E’
questo il testo riportato nel modulo di contatto del mio sito web con
cui L mi chiede un appuntamento presso lo studio di psicologia ad
Avezzano.
L è una ragazza estremamente avvenente e dall’aspetto curato in ogni minimo dettaglio. All’inizio del colloquio assume una postura fiera e sprezzante, di chi ostenta sicurezza e vuole dimostrare che non ha nulla da temere. Tuttavia l’aspetto appare rigido e innaturale. Ha 23 anni e studia ingegneria meccanica all’Università de L’Aquila.
Dopo essermi complimentato con lei, le faccio notare che si tratta di
una scelta poco frequente per una ragazza e le chiedo da cosa sia
motivata. L: “Ho fatto lo scientifico e, sin da piccola, sono sempre
stata portata per la matematica. Le materie sono dure e l’ambiente, a
prevalenza maschile, piuttosto spartano… (pausa)… ma a me piacciono le
sfide impossibili!” Ha sempre avuto un elevato rendimento
scolastico, ha acquisito la maturità scientifica con il massimo dei voti
e all’Università ha superato molti esami senza mai scendere sotto la
soglia di valutazione di 28/30. Tuttavia riferisce che, da un anno a questa parte, non è più riuscita a sostenere nemmeno un esame.
E’ iniziato in modo graduale: un giorno non si sentiva sufficientemente
preparata e ha deciso di non presentarsi all’appello. Stesso esito per
quelli successivi. Adesso il solo pensiero dell’Università le suscita ansia, tanto da non poter più sopportare nemmeno la vista dei libri. R: “C’è qualcosa che la turba particolarmente in questo periodo?” L: “No! E’ proprio questo il punto: non c’è nessun motivo!” R: “Nessun motivo apparente…” L: “No! Nessun motivo e basta!”
R: “Va bene, non volevo contraddirla. Le va se mettiamo un attimo da
parte il discorso dell’università e parliamo un po’ della sua vita?” L parla in modo superficiale di tutto ciò che la riguarda, senza soffermarsi sui dettagli.
La sua vita sentimentale è stata caratterizzata da un unico e lungo
fidanzamento con un ragazzo, figlio di vicini di casa e storici amici di
famiglia, terminato quando L ha iniziato l’università. L: “Lui era
molto amorevole e pieno di premure nei miei confronti. Le nostre
famiglie erano contentissime. I miei genitori ci sono rimasti molto male
quando hanno saputo che lo avevo lasciato e ancora oggi non se ne fanno
una ragione. Un giorno li ho sentiti persino scusarsi con i genitori di
lui… (pausa) Sa com’è, ci tenevano tanto a diventare consuoceri”.
Accenna un sorriso e un’espressione vagamente accondiscendente. R: “Ha mai provato interesse per qualcun altro?” L: “No. Sinceramente sono piuttosto disillusa rispetto ai ragazzi di oggi…” R: “I ragazzi di oggi?”
L: “Sì, non hanno valori, non hanno obiettivi… Ho lasciato il mio ex
perché era diventato appiccicoso e mi rallentava negli studi… non mi va
di… (silenzio) di cosa stavamo parlando, scusi? Mi sono persa…” R: “Parlavamo della sua vita”
L: “Ah, sì… come le dicevo, sono una persona molto determinata, quando
fisso un obiettivo devo raggiungerlo a tutti i costi, per dimostrare a
me stessa che sono in grado di farcela, che valgo” R: “Dimostrare?” L: “Sì, è quello che ho detto” R: “Le va se parliamo un po’ della sua famiglia?”
Dal colloquio emerge che L ha un fratello di due anni più grande, D,
che lavora saltuariamente come barman, e al quale sostiene di essere
molto legata. L: “E’ sempre stato il mio punto di riferimento, il
mio idolo. E’ un ragazzo molto bello, assomiglia a Johnny Depp, ha
presente? E’ sempre stato circondato da ragazze bellissime, tutte pazze
di lui. Sin da piccoli, mi ha aiutata a fare qualunque cosa. Sono
cresciuta con la certezza di poter contare su di lui in ogni momento,
perché lui riesce in tutto ciò che fa. Sa fare mille cose… ha iniziato a
lavorare a dodici anni e non si è più fermato… tutti i tipi di lavori:
ha iniziato come meccanico, poi pittore, giardiniere, PR, barman…” R: “Meccanico?” L: “Sì, ma non solo… Sa fare praticamente tutto!” R: “Non ne dubito! ” rispondo sorridente. L sorride a sua volta. R: “Ora che abbiamo chiarito quanto sia bravo suo fratello, posso farle una domanda?” L: “Certo!” R: “I suoi genitori sono contenti di avere una figlia così talentuosa negli studi? ” D’un tratto, torna seria. L: “Non lo faccio per loro, lo faccio per me.”
R: “Sì, ma io le ho fatto un'altra domanda. Le ho chiesto in che modo i
suoi genitori hanno mostrato e mostrano interesse e apprezzamento per
la sua carriera universitaria.” L china il capo in avanti e tiene lo
sguardo fisso sulle dita che s’intrecciano freneticamente sulle sue
ginocchia strette. Resta in silenzio. Poi sussurra: “A loro non è mai importato niente di me…” R: “Sulla base di quali indicatori fa un’affermazione del genere?”
L: “Hanno sempre avuto occhi solo per D. In casa, con i parenti e con
gli amici di famiglia, non facevano altro che parlare di D e di quanto
fosse bravo in tutto.” R: “Lei non si sente brava?” L: “No. Per quanto mi impegni e per quanto possa ottenere dei risultati, non sarò mai come lui.” R: “Poco fa, mentre parlavamo di D e di quanto i suoi lo elogiassero, ho notato che parlava al passato. Come mai?” L: “Non gliel’ho detto? D si è sposato ed è andato a vivere a Londra. Credevo di averglielo detto…” R: “E quando è accaduto, di preciso?” L: “Dunque, mi faccia pensare… circa un anno fa” R: “Ossia più o meno da quando lei ha iniziato a non sentirsi più in grado di sostenere esami all’università?” L: “Esatto, bravo!” esclama alzando di colpo la testa e guardandomi con gli occhi spalancati. (silenzio) Riabbassa la testa. (silenzio) Alza timidamente lo sguardo. L: “Lei crede che le cose siano collegate?” R: “Lei cosa pensa a riguardo?”
L: “Non lo so… in questo momento mi sento confusa… sento come se mi si
stesse smuovendo qualcosa dentro… sono strane sensazioni… non so come
spiegarlo. Da un lato mi sto vergognando terribilmente e vorrei uscire
immediatamente da qui…” R: “…e dall’altro?” L: “Dall’altro
avverto una forte energia… sì, come una grande forza… mi sento una
leonessa… sento che potrei spaccare il mondo!” L’espressione è incredula. L: “Adesso vorrei fare tante cose… avverto una gran voglia di vivere!” Ora l’espressione è incuriosita. L: “Da che può dipendere?” R: “Avremo modo di parlarne la prossima volta.”
Questa storia illustra come le dinamiche familiari svolgano un ruolo
fondamentale nel processo di (auto)determinazione personale.
Fin dall’infanzia L viene a trovarsi in un contesto in cui è spinta a
farsi strada per ottenere l’amore dei genitori, che, evidentemente, non
viene percepito come incondizionato. Ben presto si delineano copioni
familiari, che tendono a cristallizzarsi nel tempo e che imprigionano L
nel ruolo della figlia pedissequa. A partire dalla scelta del partner, il ragazzo giusto per la famiglia, L intraprende la strada del compiacimento.
Ciò le comporta un evidente, quanto rischioso, disinvestimento dalla
vita affettiva, con successiva perdita di interesse verso altri
possibili contesti relazionali appaganti. Una funzione
evidentemente centrale è svolta dalla figura del fratello che, fin
dall’infanzia, polarizza su di sé le attenzioni genitoriali, ma anche
quelle della stessa L. Se da un lato D è colui che le ruba la scena,
L idealizza nel tempo questa figura fino a farla coincidere con l’idea
stessa di successo. Lo studio “matto e disperatissimo” sembra veicolare un ancor più disperato grido d’aiuto: “Sono qua! Mi vedete?”
Allo stesso tempo l’impegno e i risultati universitari la fanno sentire
vicina all’ideale introiettato di bravura e talento rappresentato dal
fratello. Si noti a tal proposito anche la scelta dell’indirizzo del
corso di laurea, molto vicina al primo lavoro intrapreso da lui.
Il matrimonio di D, e la sua conseguente “uscita di scena”, rappresenta
un evento critico che mette in discussione l’impianto collusivo
familiare, fino a farlo crollare. Venendo meno la rivalità con il
fratello, simbolicamente viene meno la necessità di dimostrare a tutti i
costi il proprio valore attraverso la “sfida impossibile”
dell’università. Tuttavia, dal momento in cui tali dinamiche sono
rimaste totalmente inconsce e inesplorate, piuttosto che assistere ad un
approccio più libero e sereno allo studio, ciò di cui l’inconscio si
libera è solo l’obbligo del rendimento, mentre si acuiscono le
resistenze e il peso emotivo percepiti. Se è vero che la
partenza di D può rappresentare per certi versi un sollievo, essa
mette per la prima volta L di fronte alle sue responsabilità.
Venendo meno D, viene meno l’alter ego di L. L’identità della
studentessa modello è andata in frantumi e ciò che resta è una ragazza
fragile, che non si sente mai pronta per affrontare un esame. Il lavoro con L è stato volto principalmente alla rielaborazione sul piano dell’identità personale.
L ha imparato non solo a scegliere esprimendo sé stessa, ma anche a
gestire le difficoltà che comporta il decidere da soli, senza un copione
già scritto. L’intervento psicologico è durato complessivamente sei mesi.
Nell’arco di questo periodo L ha scelto di non cambiare indirizzo di
studi e ha ripreso a dare esami con molto meno sforzo, pur ottenendo le
stesse ottime valutazioni. Dai primi incontri si è verificata
un’attenuazione dei sintomi dell’ansia, fino alla loro scomparsa,
avvenuta dopo i primi due mesi. Anche la postura è cambiata,
passando da un assetto più rigido ad uno meno contratto, che ha
conferito maggiore naturalezza e armonia al suo aspetto globale.
A distanza di pochi anni ho ricevuto una sua email in cui mi informava
di essersi laureata con il massimo dei voti. Aggiungeva di aver trovato
finalmente l’amore e di aver da poco iniziato una convivenza. Ciò
che più la faceva sentire in bisogno di ringraziarmi era la sensazione,
da lei splendidamente descritta, di poter finalmente vivere a pieno il
godimento e la soddisfazione derivanti dalle sue scelte.
Dottor Riccardo Cicchetti
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