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Nel
corso di conferenze, seminari, incontri a tema e colloqui in studio, le
osservazioni più comuni che mi vengono mosse, quando affronto il tema
della violenza nella coppia (meglio nota come “violenza domestica”)
vertono principalmente su un unico aspetto:
“Perché la donna non si ribella?” “Perché accetta tutto questo passivamente?” “Perché non lo lascia?” “Perché non si difende?” Analogamente, se proviamo ad assumere la prospettiva dell’uomo che esercita violenza, viene da chiedersi: “Perché picchia la sua compagna, pur sostenendo di amarla?” “Come può arrivare un uomo a scagliarsi in quel modo contro una donna?”
La risposta a tali domande comprende trattazioni profonde di dinamiche
intrapsichiche e relazionali, che variano a seconda degli specifici
contesti in cui avvengono e in cui vengono discusse. Spesso si aprono dibattiti tanto appassionanti quanto conflittuali e dolorosi.
Ci appassioniamo alla difesa della donna e ci addoloriamo di fronte
agli episodi di violenza, tanto da arrivare a rifiutarne ogni forma di
spiegazione, come a volerne respingere l’esistenza stessa. In questa sede, senza alcuna pretesa di esaustività, mi limiterò ad un’unica considerazione: “La paura di perdere la persona amata può condurre a perdere noi stessi”.
Dottor Riccardo Cicchetti
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