CODICE
DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI
Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine
nell’adunanza del 27-28 giugno 1997
Capo I -
Principi generali
Articolo 1
Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per
tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è
tenuto alla loro conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non
esime dalla responsabilità disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice
deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al
decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione,
sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°,
della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure
stabilite dal Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul
comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere
psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni
ambito professionale opera per migliorare la capacità delle
persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in
maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è
consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto
che, nell’esercizio professionale, può intervenire
significativamente nella vita degli altri; pertanto deve
prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali,
organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso
non appropriato della sua influenza, e non utilizza
indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza
dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione
professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti
professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la
dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed
all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni;
ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo
sistema di valori; non opera discriminazioni in base a
religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato
socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale,
disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche
salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad
iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di
interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo
opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza,
i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è
professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario
ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia
non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il
destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di
preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria
disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce
i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo
strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata
competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo
psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare
le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle
attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non
compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto
delle norme del presente codice, e, in assenza di tali
condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda
la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e
degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è
perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei
risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava.
Nella collaborazione con professionisti di altre discipline
esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle
altrui competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca
e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle
attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in
relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità
di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni
raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative
alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo,
su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali
solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su
una documentazione adeguata ed attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione
come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989,
n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o
di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti,
utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per
attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività
ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare
adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne
il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo
status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua
eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì
garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di
rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Nell’ ipotesi
in cui la natura della ricerca non consenta di informare
preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti
della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire
comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati,
le informazioni dovute e di ottenere l’autorizzazione all’uso
dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età o
per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il
loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà
genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove
siano in grado di comprendere la natura della collaborazione
richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei
soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed
all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali hanno ad oggetto il
comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a
rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale.
Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in
ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le
prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che
non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di
cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto
professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di
mantenere il segreto professionale, anche in caso di
testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e
dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione.
Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso,
considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo
psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di
quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai
fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi,
valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o
parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si
prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute
psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è
tenuto ad in informare, nella fase iniziale, circa le regole che
governano tale intervento. È tenuto altresì ad impegnare, quando
necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di
ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti
al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto
le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di
collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché
indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto
professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato
del destinatario della prestazione.
Articolo 17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche
attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti
o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che
riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve
essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla
conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto
previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere
perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale
protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine
professionale. Lo psicologo che collabora alla costituzione ed
all’uso di sistemi di documentazione si adopera per la
realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi
affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta,
da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui
rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti
di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente
i criteri della specifica competenza, qualificazione o
preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo
psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti
l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi
la propria condotta professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è
tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di
intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti
estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali
soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento
agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti,
ed agli specializzandi in materie psicologiche.
Capo II -
Rapporti con l’utenza e con la committenza
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si
occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i
propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri
indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto
attiene al compenso professionale. In ambito clinico tale
compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati
dell’intervento professionale; in tutti gli ambiti lo psicologo
è tenuto al rispetto delle tariffe ordinistiche, minime e
massime.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale,
fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla
comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate
e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le
modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti
giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne
ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la
prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo,
dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e
di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi
commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del
suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti
del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad
essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri
interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a
regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela
psicologica dei soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire
qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti
personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni,
le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.
Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e
di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su
richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di
precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e
l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del
rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae
alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile
che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto,
fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare
altri e più adatti interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita
privata che possano interferire con l’attività professionale o
comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della
professione. Costituisce grave violazione deontologica
effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di
psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o
intrattiene relazioni significative di natura personale, in
particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale.
Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare
le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo
psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del
rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi
diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non
patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo
non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti
di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei
al rapporto professionale.
Articolo 29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla
condizione che il paziente si serva di determinati presidi,
istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura
scientifico-professionale.
Articolo 30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata
qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo
di prestazioni professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette
sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita
sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo
che, in assenza del consenso di cui al precedente comma,
giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta
riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità
Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono
fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine
dell’autorità legalmente competente o in strutture
legislativamente preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione
professionale su richiesta di un committente diverso dal
destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con
le parti in causa la natura e le finalità dell’intervento.
Capo III -
Rapporti con i colleghi
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del
rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo
psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della
propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di
lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la
loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle
discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue
conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale,
anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere
umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo
è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi
giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro
competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi
professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della
loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto
che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai
colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta
professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per
il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne
tempestiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei
limiti delle proprie competenze. Qualora l’interesse del
committente e/o del destinatario della prestazione richieda il
ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la
consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro
professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle
circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a
qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria
condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Capo IV -
Rapporti con la società
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria
formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere
quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo
libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo 40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in
materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente
comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della
clientela. In ogni caso, la pubblicità e l’informazione
concernenti l’attività professionale devono essere ispirate a
criteri di decoro professionale, di serietà scientifica e di
tutela dell’immagine della professione.
Capo V -
Norme di attuazione
Articolo 41
È istituito presso la Commissione Deontologia dell’Ordine degli
psicologi l’Osservatorio permanente sul Codice Deontologico,
regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale
dell’Ordine, con il compito di raccogliere la giurisprudenza in
materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali
dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali
proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine,
anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico.
Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18
febbraio 1989, n. 56.
Articolo 42
Il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo
giorno successivo alla proclamazione dei risultati del
referendum di approvazione, ai sensi dell’art. 28, comma 6,
lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
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